giovedì 3 novembre 2016

FRANCESCO GIULIO FARACHI: IL RUOLO DEL CRITICO D'ARTE FRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE




Altro componente della giuria di specialisti, che si affiancheranno nella valutazione delle opere in concorso al Premio Art-e di Veroli, è FRANCESCO GIULIO FARACHI che si è reso disponibile alla consueta chiacchierata-intervista, passaggio obbligato per presentare, a chi legge, queste varie eccellenze e personalità. Nato a Bari, salentino di origine, laureato in Lettere Classiche a indirizzo antichistico/archeologico, da quasi venticinque anni vive a Roma. La sua terra continua a essere viva nel suo percorso professionale con l’influenza delle sue forme d’arte e cultura (e qui basti citare le impronte federiciane come Castel del Monte o il barocco leccese, fra le più note) in una convivenza e confronto quotidiani, vissuti quasi insensibilmente, con queste importanti evidenze storico-artistiche locali. Giornalista, la sua attività professionale primaria è quella di critico d’arte e organizzatore di mostre, oggi in primo luogo nello spazio espositivo che dirige, con la collaborazione di Roberta Sole e del maestro Maurizio Bedini, il MUEF ART GALLERY di Roma: uno spazio giovane nato originariamente come laboratorio di quattro artisti e che è diventato da due anni luogo deputato ad accogliere mostre, nell’intento di creare un collegamento tra le generazioni artistiche di “ieri” e quelle di “oggi”. Un invito alla presa di coscienza “storica” rivolto alle nuove generazioni che spesso ignorano quelli che sono stati i fermenti artistici anche recenti (come quelli degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso), per cui Farachi ha voluto raccordare questi universi creativi con un attento lavoro in cui spende uguale dedizione, tempo, passione sia per mostre teoricamente più semplici, sul piano dell’allestimento, che per quelle più importanti e impegnative. La sua esperienza di critico, maturata con decine di mostre all’attivo e con la produzione di un numero imponente di saggi, profili critici, attività editoriali, la metterà, a breve, a servizio del Premio Art-e che ha definito una tappa importante in un calendario fittissimo di eventi che sta organizzando, fra cui spiccano la collaborazione con la nuova Galleria Pulcherrima di Roma, la cura delle esposizioni personali di tre artisti a Roma e quella di un’importante collettiva tesa a storicizzare un gruppo di artisti che ha condiviso lo stesso ambito ispirativo e operativo negli anni fra il 1980 e i primi del 2000. È da segnalare inoltre il suo costante interagire con i professionisti del settore: “sono felice e onorato — dice Farachi – di svolgere in questo periodo diverse attività che ancora una volta mi mettono in relazione con uno studioso insigne come il prof. Strinati e con colleghi di provata competenza e autorevolezza, primo fra tutti Massimo Rossi Ruben, cui mi lega un antico rapporto di stima e amicizia”. Nella valutazione di un’opera egli sostiene che il primo elemento di giudizio debba essere l’impatto emozionale visivo, cioè l’immediata capacità comunicativa e che si debba, nello step successivo, analizzare tecnicamente e analiticamente l’opera senza sovrastrutture e sovrapposizioni in un’integrazione con la sensazione iniziale. “Il lavoro del critico d’arte dovrebbe essere quello di aiutare l’osservatore alla lettura dell’opera nei suoi aspetti di specificità tecnica e di proprietà intrinseche e nell’estrapolazione di quegli elementi che potrebbero non essere di immediata evidenza, ma esistenti nell’opera in oggetto”.  In questo periodo di grande crisi in tutti i settori “esiste una difficoltà di produzione e lettura artistica amplificata proprio da una certa critica che tende all’esagerata valutazione del nuovo”, Farachi quindi auspica il ritorno a un equilibrio critico in cui inoltre sia il sistema artistico a dettare le sue regole al mercato finanziario e non il contrario.  “L’ipereccitazione della nostra società non fa bene all’arte, risentendone la produzione che ne risulta sbilanciata da fattori inquinanti, come ad esempio l’esasperata speculazione economica. L’arte ha bisogno di maggiore calma e riflessività”. Questa l’attenta e obiettiva disanima di Farachi nell’esortazione alla necessità anche di una maggiore autocritica da parte degli addetti ai lavori che in Italia sono influenzati da una formazione in cui lo studio di una storia dell’arte basata maggiormente sui canoni della grande esperienza rinascimentale e barocca diventa, a volte,  una lente deformante che rende più difficile saper guardare all’attuale: così da parte di alcuni si cade nella stanca riproposizione di modelli ineguagliabili o, peggio, ormai esausti, altri, all’opposto, reagiscono con una sorta di rifiuto riguardo ogni tradizione. Discorso valido anche verso molti di quegli artisti contemporanei che guardano al passato con disinteresse e quasi avversione derivanti da impostazioni più ideologiche che di merito e, purtroppo, spesso da scarsa conoscenza. “L’arte non deve essere vista come rimpianto del passato, sorta di rifugio in ciò che è consolidato, ma neppure bisogna guardare al nuovo come ciò che ha valore a prescindere”.  Con questi presupposti chi sarà giudicato nel contest di Veroli potrà esser certo che i propri lavori saranno valutati con un metro di giudizio super partes.


0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page