FRANCESCO GIULIO FARACHI: IL RUOLO DEL CRITICO D'ARTE FRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE
Altro componente della giuria di specialisti, che si
affiancheranno nella valutazione delle opere in concorso al Premio Art-e di
Veroli, è FRANCESCO GIULIO FARACHI che si è reso disponibile alla consueta
chiacchierata-intervista, passaggio obbligato per presentare, a chi legge,
queste varie eccellenze e personalità. Nato a Bari, salentino di origine,
laureato in Lettere Classiche a indirizzo antichistico/archeologico, da quasi
venticinque anni vive a Roma. La sua terra continua a essere viva nel suo percorso
professionale con l’influenza delle sue forme d’arte e cultura (e qui basti
citare le impronte federiciane come Castel del Monte o il barocco leccese, fra
le più note) in una convivenza e confronto quotidiani, vissuti quasi
insensibilmente, con queste importanti evidenze storico-artistiche locali.
Giornalista, la sua attività professionale primaria è quella di critico d’arte
e organizzatore di mostre, oggi in primo luogo nello spazio espositivo che
dirige, con la collaborazione di Roberta Sole e del maestro Maurizio Bedini, il
MUEF ART GALLERY di Roma: uno spazio giovane nato originariamente come
laboratorio di quattro artisti e che è diventato da due anni luogo deputato ad
accogliere mostre, nell’intento di creare un collegamento tra le generazioni
artistiche di “ieri” e quelle di “oggi”. Un invito alla presa di coscienza
“storica” rivolto alle nuove generazioni che spesso ignorano quelli che sono
stati i fermenti artistici anche recenti (come quelli degli anni ’70 e ’80 del
secolo scorso), per cui Farachi ha voluto raccordare questi universi creativi
con un attento lavoro in cui spende uguale dedizione, tempo, passione sia per
mostre teoricamente più semplici, sul piano dell’allestimento, che per quelle
più importanti e impegnative. La sua esperienza di critico, maturata con decine
di mostre all’attivo e con la produzione di un numero imponente di saggi,
profili critici, attività editoriali, la metterà, a breve, a servizio del
Premio Art-e che ha definito una tappa importante in un calendario fittissimo di
eventi che sta organizzando, fra cui spiccano la collaborazione con la nuova
Galleria Pulcherrima di Roma, la cura delle esposizioni personali di tre
artisti a Roma e quella di un’importante collettiva tesa a storicizzare un
gruppo di artisti che ha condiviso lo stesso ambito ispirativo e operativo
negli anni fra il 1980 e i primi del 2000. È da segnalare inoltre il suo
costante interagire con i professionisti del settore: “sono felice e onorato —
dice Farachi – di svolgere in questo periodo diverse attività che ancora una
volta mi mettono in relazione con uno studioso insigne come il prof. Strinati e
con colleghi di provata competenza e autorevolezza, primo fra tutti Massimo
Rossi Ruben, cui mi lega un antico rapporto di stima e amicizia”. Nella
valutazione di un’opera egli sostiene che il primo elemento di giudizio debba
essere l’impatto emozionale visivo, cioè l’immediata capacità comunicativa e
che si debba, nello step successivo, analizzare tecnicamente e analiticamente
l’opera senza sovrastrutture e sovrapposizioni in un’integrazione con la
sensazione iniziale. “Il lavoro del critico d’arte dovrebbe essere quello di
aiutare l’osservatore alla lettura dell’opera nei suoi aspetti di specificità
tecnica e di proprietà intrinseche e nell’estrapolazione di quegli elementi che
potrebbero non essere di immediata evidenza, ma esistenti nell’opera in
oggetto”. In questo periodo di grande
crisi in tutti i settori “esiste una difficoltà di produzione e lettura
artistica amplificata proprio da una certa critica che tende all’esagerata
valutazione del nuovo”, Farachi quindi auspica il ritorno a un equilibrio
critico in cui inoltre sia il sistema artistico a dettare le sue regole al
mercato finanziario e non il contrario.
“L’ipereccitazione della nostra società non fa bene all’arte,
risentendone la produzione che ne risulta sbilanciata da fattori inquinanti,
come ad esempio l’esasperata speculazione economica. L’arte ha bisogno di
maggiore calma e riflessività”. Questa l’attenta e obiettiva disanima di
Farachi nell’esortazione alla necessità anche di una maggiore autocritica da
parte degli addetti ai lavori che in Italia sono influenzati da una formazione
in cui lo studio di una storia dell’arte basata maggiormente sui canoni della
grande esperienza rinascimentale e barocca diventa, a volte, una lente deformante che rende più difficile
saper guardare all’attuale: così da parte di alcuni si cade nella stanca
riproposizione di modelli ineguagliabili o, peggio, ormai esausti, altri, all’opposto,
reagiscono con una sorta di rifiuto riguardo ogni tradizione. Discorso valido
anche verso molti di quegli artisti contemporanei che guardano al passato con
disinteresse e quasi avversione derivanti da impostazioni più ideologiche che
di merito e, purtroppo, spesso da scarsa conoscenza. “L’arte non deve essere
vista come rimpianto del passato, sorta di rifugio in ciò che è consolidato, ma
neppure bisogna guardare al nuovo come ciò che ha valore a prescindere”. Con questi presupposti chi sarà giudicato nel
contest di Veroli potrà esser certo che i propri lavori saranno valutati con un
metro di giudizio super partes.
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