lunedì 1 giugno 2015

FLAVIO EMILIO SCOGNA E IL SUO DIVINO PERGOLESI





GIOVAN BATTISTA PERGOLESI
LA SERVA PADRONA
SALVE REGINA
Federico Benetti – Angela Nisi
I Solisti Liriensi
FLAVIO EMILIO SCOGNA
Edizioni Tactus


Una parabola compositiva , quella di Giovan Battista Draghi “Pergolesi”, brevissima, appena cinque anni, tenendo presente che morì appena ventiseienne ( Jesi  1710- Pozzuoli 1736), ma  che ha lasciato un forte segno nella musica non solo del Settecento. LA SERVA PADRONA rappresentata la prima volta a Napoli, Teatro San Bartolomeo, il 28 agosto 1733, superò in successo l’opera “Il prigionier superbo” per la quale era stata scritta,  come intermezzo buffo in due atti,  e apparve subito come una rivelazione folgorante che scatenò, dopo la sua esecuzione parigina del 1752, la “Querelle  des  bouffons”  fra i sostenitori dell'opera tradizionale francese, incarnata dallo stile di Jean-Baptiste Lully e Jean-Philippe Rameau, e i sostenitori della nuova opera buffa italiana fra cui alcuni enciclopedisti  in particolare Jean Jacques Rousseau, anch'egli compositore. Dalla metà del Settecento La serva padrona è stata considerata la madre di tutto il teatro comico in musica. La sua fortuna è sicuramente legata anche alla modernità del libretto (Gennarantonio Federico)  che affronta episodi di vita comune quotidiana prendendo le distanze dai  soggetti mitologici tanto in voga nel XVIII° secolo. Pergolesi ha caratterizzato i suoi personaggi con fine psicologia attraverso un linguaggio musicale di grande incisività basato su frasi ritmico-melodiche brevi  di grande freschezza e vivacità in perfetta simbiosi con le invenzioni  del testo, una tra tutte, la dichiarazione d’amore “onomatopeica”  (“Per te ho io nel core il martellin d'amore che mi percuote ognor. Deh! senti il tippitì… Lo sento, è vero, sì, tu senti il tappatà…” ) tra i due protagonisti Serpina e Uberto. La lettura di Scogna mette in evidenza questa freschezza compositiva ponendo maggiormente l’accento sulla partitura  più che sulla caratterizzazione caricaturale dei personaggi, donando all’esecuzione un ampio respiro quasi mozartiano ( “Sono imbrogliato io già”) con un’attentissima e certosina lettura filologica. Nel 1735 Pergolesi ricevette  un posto ufficiale nella cappella regia, quale organista soprannumerario e forse per essa, compose l'ultimo dei suoi due Salve Regina quello in do minore,  più vicino cronologicamente e stilisticamente allo Stabat Mater , suo capolavoro,  rispetto a quello in la minore. L’uso della tonalità minore ne caratterizza la connotazione dolente, non preghiera gioiosa  quindi, ma canto melanconico  e commosso che fonde teatro e religione nel linguaggio tipico di Pergolesi , non legato a cliché, in cui la musica prevale  in tutta la sua bellezza ed eleganza sui generi affrontati, siano essi  sacri o profani.  La stessa eleganza che ha FLAVIO EMILIO SCOGNA nell’affrontare queste due composizioni, con una particolare cura nei  recitativi e una forte attenzione al testo supportato da un ricco continuo (cembalo, viola da gamba e tiorba), alla guida de I SOLISTI LIRIENSI , di ANGELA NISI (soprano) e FEDERICO BENETTI ( basso) nella perfetta registrazione del cd della TACTUS. Un gioiello da acquistare per impreziosire ulteriormente il patrimonio musicale di ognuno di noi. 


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