FLAVIO EMILIO SCOGNA E IL SUO DIVINO PERGOLESI
GIOVAN BATTISTA PERGOLESI
LA SERVA PADRONA
SALVE REGINA
Federico Benetti – Angela Nisi
I Solisti Liriensi
FLAVIO EMILIO SCOGNA
Edizioni Tactus
Una parabola compositiva , quella di Giovan Battista Draghi
“Pergolesi”, brevissima, appena cinque anni, tenendo presente che morì appena
ventiseienne ( Jesi 1710- Pozzuoli
1736), ma che ha lasciato un forte segno
nella musica non solo del Settecento. LA SERVA PADRONA rappresentata la prima
volta a Napoli, Teatro San Bartolomeo, il 28 agosto 1733, superò in successo
l’opera “Il prigionier superbo” per la quale era stata scritta, come intermezzo buffo in due atti, e apparve subito come una rivelazione folgorante
che scatenò, dopo la sua esecuzione parigina del 1752, la “Querelle des
bouffons” fra i sostenitori
dell'opera tradizionale francese, incarnata dallo stile di Jean-Baptiste Lully
e Jean-Philippe Rameau, e i sostenitori della nuova opera buffa italiana fra
cui alcuni enciclopedisti in particolare
Jean Jacques Rousseau, anch'egli compositore. Dalla metà del Settecento La serva padrona è stata considerata la
madre di tutto il teatro comico in musica. La sua fortuna è sicuramente legata
anche alla modernità del libretto (Gennarantonio Federico) che affronta episodi di vita comune quotidiana
prendendo le distanze dai soggetti
mitologici tanto in voga nel XVIII° secolo. Pergolesi ha caratterizzato i suoi
personaggi con fine psicologia attraverso un linguaggio musicale di grande
incisività basato su frasi ritmico-melodiche brevi di grande freschezza e vivacità in perfetta
simbiosi con le invenzioni del testo,
una tra tutte, la dichiarazione d’amore “onomatopeica”
(“Per te ho io nel core
il martellin d'amore che mi percuote ognor. Deh! senti
il tippitì… Lo sento, è vero, sì, tu senti il tappatà…” ) tra i due
protagonisti Serpina e Uberto. La lettura di Scogna mette in evidenza questa freschezza compositiva ponendo
maggiormente l’accento sulla partitura più che sulla caratterizzazione caricaturale
dei personaggi, donando all’esecuzione un ampio respiro quasi mozartiano (
“Sono imbrogliato io già”) con un’attentissima e certosina lettura filologica.
Nel 1735 Pergolesi ricevette un posto
ufficiale nella cappella regia, quale organista soprannumerario e forse per
essa, compose l'ultimo dei suoi due Salve
Regina quello in do minore, più
vicino cronologicamente e stilisticamente allo Stabat Mater , suo
capolavoro, rispetto a quello in la
minore. L’uso della tonalità minore ne caratterizza la connotazione dolente, non
preghiera gioiosa quindi, ma canto
melanconico e commosso che fonde teatro
e religione nel linguaggio tipico di Pergolesi , non legato a cliché, in cui la
musica prevale in tutta la sua bellezza ed
eleganza sui generi affrontati, siano essi sacri o profani. La stessa eleganza che ha FLAVIO EMILIO
SCOGNA nell’affrontare queste due composizioni, con una particolare cura
nei recitativi e una forte attenzione al
testo supportato da un ricco continuo (cembalo, viola da gamba e tiorba), alla
guida de I SOLISTI LIRIENSI , di ANGELA NISI (soprano) e FEDERICO BENETTI (
basso) nella perfetta registrazione del cd della TACTUS. Un gioiello da
acquistare per impreziosire ulteriormente il patrimonio musicale di ognuno di
noi.
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